Isengard e la Grande Guerra

Isengard e la Grande Guerra


1.1. Il professor Tolkien fra le due Guerre


Negli articoli precedenti è stato già affermato, seppur brevemente, come Il Signore degli Anelli rappresenti, nelle intenzioni di Tolkien, soldato impegnato sul fronte francese nel corso della I Grande Guerra, una critica sia all'avanzare della modernità, intesa come realtà della materia e della “macchina”, del consumismo, dell’industrializzazione e della perdita dei valori fondativi, che sono insieme umani e cristiani, sia alla guerra, in tutte le sue forme e declinazioni: nell'Universo di Arda, la Terra fantastica del Signore degli Anelli, la guerra è da considerarsi giusta solo quando combattuta per il ripristino dell’ordine, per la libertà e la pace fra le genti.

Quello di Tolkien è un acceso rifiuto della guerra e dei conflitti, di tutto quello che comportano, della lotta barbara che sacrifica, come carne al macello, sul campo di battaglia, la parte migliore della società europea degli anni della Belle Epoque, giovani, lavoratori, professionisti, poeti, scrittori, brillanti menti trascinate, volontariamente o meno, alla rovina e al macero, intere generazioni di studiosi e sognatori, cui appartiene anche John Tolkien; un rifiuto che risalta nell’opera letteraria del professore di Oxford, dalla mitologia del Silmarillion a Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli: sono tutti scritti, in parte, frutto dell’esperienza diretta dell’autore agli orrori della guerra di trincea.

Il giovane Tolkien si arruola nel 1915 come volontario nel reggimento Lancashire Fusiliers, in qualità di sottotenente, e nel 1916 viene inviato sul fronte occidentale, dove partecipa in prima persona alla disastrosa battaglia della Somme, nella Francia settentrionale (offensiva alleata diretta contro la Germania, che si protrae da luglio a novembre del 1916, con perdite enormi da ambo le parti), dove vive gli orrori del conflitto e assiste impotente alla morte di colleghi ed amici, compresi i suoi cari affetti degli anni scolastici e universitari, Geoffrey Bache Smith e Robert Gilson, con i quali nel 1910 aveva fondato il circolo culturale del “TCBS” (acronimo di Tea Club and Barrovian Society, che è quella fucina artistica nella quale prendono forma i primi Racconti Perduti e gli embrionali esempi di linguaggi fantastici inventati da Tolkien), gruppo animato dalla passione per l'arte e la letteratura, che si prefiggeva di rivoluzionare la sensibilità del XX secolo, appena cominciato, e di «accendere una nuova luce nel mondo»1.

Una drammatica esperienza che si concluderà, per l'autore, nel 1917, con il congedo e il suo rientro in patria dopo sei mesi di guerra, per aver contratto una “febbre da trincea” (malattia epidemica molto comune fra i soldati impegnati nelle due Grandi Guerre).

La morte, compagna costante nella battaglia della Somme, uno dei singoli conflitti più cruenti e atroci della storia, se si pensa che, solo nel primo giorno, le perdite per l'esercito anglo-francese sono quasi sessantamila (in totale l'offensiva mieterà più di seicentomila vittime da parte alleata, e quasi altrettante sul fronte tedesco). Ma anche la vita di trincea, tra pioggia e fango, malattie, malessere, il frastuono e il boato delle granate, dei colpi d'artiglieria, delle esplosioni, un triste vissuto che inevitabilmente segna il giovane studioso e sottotenente Tolkien: lui stesso ammetterà di aver preso spunto, nella descrizione delle Paludi Morte e dei campi aridi e desertificati del Morannon che compaiono ne Il Signore degli Anelli, dalle terre francesi devastate dalla battaglia della Somme (pur ammettendo il maggior debito nei confronti della poetica di Morris, rispetto alla sua esperienza diretta da soldato)2.

Eppure, probabilmente, come afferma John Garth, grande studioso di Tolkien, l'esperienza bellica ha influito in misura preponderante nella costruzione dell'universo tolkeniano, specialmente se si pensa agli scritti (pubblicati postumi ma abbozzati negli anni del primo conflitto) dedicati agli eventi della Prima e della Seconda Era, poi confluiti nei Racconti perduti e ne Il Silmarillion: la Caduta di Gondolin, la città-fortezza degli Alti Elfi, nascosta tra le montagne del Beleriand ed alla fine scoperta e distrutta dalle armate oscure di Morgoth, ne è l'esempio più lampante, poiché traduce nel linguaggio di una nuova epica l'ossessione della città, roccaforte del Bene e della Civiltà, distrutta da un attacco a sorpresa ad opera di un esercito nemico composto da orchi, draghi e Barlog (gli stessi attacchi a sorpresa che caratterizzano l'avanzata anglo-francese alla Somme e i contrattacchi avversari).

Come Tuor, eroe degli Uomini sopravvissuto al massacro di Melkor insieme ai pochi esuli di Gondolin, lo stesso Tolkien sarà tra i fortunati a far ritorno in patria, conservando l'esperienza degli episodi della guerra e trasferendoli nell'impianto della sua mitologia: non è un caso se i primi scritti, abbozzati a partire dal 1917, destinati a costituire il corpus delle sue leggende, la base mitica delle vicende de Lo Hobbit e del Signore degli Anelli, raccolti dopo la morte dell'autore dal figlio Cristopher nel già citato Silmarillion, sono caratterizzati da atmosfere cupe, catastrofi, stermini, battaglie rovinose (oltre la già citata Gondolin, si pensi alla Battaglia dalle innumerevoli lacrime, la Nĺrnaeth Aroediad, o alla Dagor Bargollach), la paura dell'avanzata di un nemico quasi invincibile, la tensione narrativa, la costante minaccia di insidie, della brama di possesso e tradimenti in grado di minare una pace e un'ordine secolari o di piegare anche gli eroi più valorosi (si pensi al triste fato, “edipico”, di Túrin Turambar, o all'uccisione del re elfico Thingol Grigiomanto per mano dei Nani, evento scatenante le ostilità tra i figli di Aulë e gli Elfi).

Temi che non scompaiono nelle successive e principali opere del professore, ma che si ripresentano in una luce meno cupa e in una forma rinnovata: sono gli hobbit a rappresentare questo cambio di passo, un popolo di piccoli uomini dediti al buon cibo, all'agricoltura, alla produzione di birra e a fumare erba-pipa, che, pure, sono destinati a giocare un ruolo fondamentale nelle vicende della Terra di Mezzo; gli abitanti della Contea sono specchio di quegli uomini comuni, quella borghesia inglese, e più specificamente della numerosa schiera di manovali, operai, giovani lavoratori che costituivano lo scheletro portante dell'Undicesimo Battaglione Lancashire Fusiliers, nel quale milita Tolkien. Un confronto esemplificato dal viaggio circolare di andata e ritorno di Bilbo Baggins, atipico eroe, che da insicuro, goffo, abituale, sobrio, come ci si aspetta da un ordinario e "rispettabile" hobbit, attraverso l'avventura per la riconquista di Erebor, giungerà alla maturazione, diventando più determinato, più sicuro di sé, e mostrando doti inaspettate, una notevole intelligenza e, su tutto, un grande coraggio (non a caso nel personaggio è possibile riscontrare, come ha sottolineato Humphrey Carpenter nella sua biografia di Tolkien, un'auto-descrizione dell'autore); o ancora la figura di Sam, nella quale si può rintracciare quella dell'attendente (il “bateman”), il soldato cui veniva affidato l'incarico di occuparsi dei problemi pratici di un ufficiale dell'esercito britannico e che con questo finiva con l'instaurare un rapporto saldo di amicizia e complicità (similmente al rapporto speciale, indissolubile, che si crea tra Sam e Frodo nel corso della loro missione verso Monte Fato)3.

In queste caratteristiche sta la verosimiglianza dell'Universo immaginario tolkeniano: lungi dall'essere uno scrittore escapista – accusa che gli è stata ingiustamente più volte rivolte – Tolkien fa confluire nella propria opera la sua visione della realtà e del mondo, le sue preoccupazioni e ansie per un futuro che, dal 1914 in poi, si fa sempre più incerto.

L'esperienza della guerra è in lui vissuta in maniera intima e personale, non viene quindi romanzata – né, tanto meno, esaltata – dalla sua narrativa, ma rappresentata e interpretata nei suoi aspetti quotidiani, più realistici e veritieri.

Aspetti che si riflettono in Frodo e Sam intenti a preparare e consumare un pasto, accampati intorno al fuoco, mentre percorrono le terre selvagge, o, in preda alla disperazione durante l'assedio Osgiliath e la marcia verso Mordor, darsi coraggio pensando con nostalgia ai frutti e ai verdi campi della Contea, o ancora nello stupore misto a terrore dello hobbit giardiniere quando assiste al sopraggiungere di un Olifante, - esseri enormi simili ad un elefante, grandi quanto un edificio, addestrati come arma da guerra da Harad - che finisce per cadere giù da una collina a strapiombo, o, infine, nel rammarico di Merry e nell'imprudenza di Pipino, entrambi catapultati in qualcosa di più grande di loro, eppure in grado, grazie alle loro doti, resilienza "hobbit", curiosità e intraprendenza “borghesi”, di portare alla sconfitta definitiva di Isengard.

Nell'universo narrativo tolkeniano tutti i personaggi, soprattutto quelli dotati di particolari caratteristiche, spesso le più insolite, hanno un ruolo significativo da giocare all'interno della storia, sono padroni delle proprie scelte ma rientrano allo stesso tempo in un disegno più grande, che è possibile definire provvidenziale – d'altronde diversi autori, da Paolo Gulisano a Federico Guglielmi, hanno constato come il messaggio cristiano permea l'opera del professore, nei suoi aspetti universali.

Una tematica che si riflette nelle parole, tratte da una frase dell'autore, che Galadriel rivolge a Frodo, nel film La Compagnia dell'Anello, ovvero “Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro!”, che rappresenta poi il vero filo conduttore del Signore degli Anelli: il rovesciamento della visione nietzscheana del mondo, ovvero di una filosofia che considerava i “deboli” come portatori di una morale della paura e del risentimento; al contrario i piccoli – "mezzuomini", gli Hobbit, sono invece fonte di riscatto per l'intera umanità.


1.2. Il Signore degli Anelli - Le Due Torri: la strenua difesa dell’uomo contro gli orrori del mondo moderno

In particolare, però, è l'arco narrativo che gravita attorno alle vicende di Saruman, di Isengard e de Le due Torri che, per contenuti e tematiche, può essere letto in una chiave anti-totalitaria, una denuncia agli autoritarismi di ieri e di oggi, in una prospettiva che rende, tra l'altro, Tolkien uno scrittore dalla forte e costante attualità.

Il professore vive gli anni dell'ascesa dei dittatori del secondo conflitto mondiale, Hitler, Mussolini, Stalin e della Guerra Fredda. Ciò lo portò a schierarsi apertamente, in più di un’occasione, contro le politiche autoritarie e belliche del suo tempo, denunciando, soprattutto, fortemente il nazismo, definendolo una perversione degli alti valori nordici, quei valori cui si richiamava, strumentalizzandoli e sfruttandoli, lo stesso Adolf Hitler per giustificare la sua politica di conquista, di sterminio etnico e supremazia razziale.

Sul finire degli anni Trenta, infatti, Tolkien scrive all’amico ed editore Stanley Unwin, criticando la richiesta pregiudizievole della casa editrice “Rütten & Loening”, alla quale aveva manifestato il proprio disappunto, poiché gli editori tedeschi, proponendosi di tradurre Lo Hobbit in tedesco nel 1938, avevano chiesto all’autore se avesse avuto origini ariane:


«Temo di non aver capito chiaramente cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati. Ma se volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo non sembra che tra i miei antenati ci siano membri di quel popolo così dotato.

Il mio bis-bis-nonno venne in Inghilterra dalla Germania nel diciottesimo secolo: la gran parte dei miei avi è quindi squisitamente inglese e io sono assolutamente inglese, il che dovrebbe bastare. Sono sempre stato solito, tuttavia, considerare il mio nome germanico con orgoglio e ho continuato a farlo anche durante il periodo dell'ultima, deplorevole guerra, durante la quale ho servito nell'esercito inglese.

Non posso tuttavia, trattenermi dall'osservare che se indagini così impertinenti e irrilevanti dovessero diventare la regola nelle questioni della letteratura, allora manca poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio.»4.



Avverso ad ogni forma di razzismo, di militarismo e di totalitarismo, Tolkien rifiutava in toto il nazismo, accusando il movimento hitleriano di essere una perversione del nobile spirito nordico, di quella germanicità medievale, delle origini, spontanea e libera dalla presa delle ideologie, della quale l’autore, traduttore del Beowulf e studioso delle saghe norrene, è un acceso studioso, estimatore e appassionato - un disprezzo che, non troppo curiosamente, nulla ha a che vedere con l’opinione che i nazisti hanno della sua opera, giacché in Germania l’autore inglese è stimato e riconosciuto per le sue ricerche sulle lingue e la mitologia nordica, elementi che il nazionalsocialismo voleva utilizzare per costruire una nuova società “ariana” e superiore5.

Una presa di posizione che si manifesta non soltanto con un aperto distacco e rigetto di qualsiasi pretesa legittimante avanzata dal nazismo, ma anche con un’intima ripugnanza, avendo l’autore preso parte, come già detto, alla Prima Guerra Mondiale e mal sopportando la chiamata al fronte dei figli Michael e Cristopher nel corso della Seconda.

Scriverà infatti al figlio Michael nel giugno del 1941:


«Comunque in questa guerra io ho un bruciante risentimento privato, che mi renderebbe a 49 anni un soldato migliore di quanto non fossi a 22, contro quel dannato piccolo ignorante di Adolf Hitler … Sta rovinando, pervertendo, distruggendo, e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce»6.


Il Signore degli Anelli, scritto tra il 1937 e il 1950, un periodo caratterizzato dall'ascesa dei totalitarismi, dal fascismo, nazismo e comunismo sovietico, diviene così un manifesto contro gli orrori della guerra, dell’industrializzazione pesante e delle macchinazioni belliche e umane, e nel contempo un testo percorso da un profondo sentimento di ritorno alla natura, di rispetto e amore nei confronti dei polmoni verdi (e viventi) della Terra di Mezzo, con i quali l’uomo può e deve ristabilire un equilibrio, un rapporto armonioso, pena la sua caduta e inevitabile corruzione.

Il secondo capitolo dell’opera tolkeniana, pubblicato nel 1954, si apre con la terribile marcia degli Uruk-hai verso l’oscura e impenetrabile Isengard, da dove il suo insidioso sovrano, lo stregone corrotto Saruman, guiderà la feroce spedizione contro i valorosi cavalieri Rohirrim al Fosso di Helm; lo stesso stregone che dà il via al selvaggio sfruttamento della foresta di Fangorn, vero e proprio attacco al Cuore verde della Terra di Mezzo, per fini subdoli e personalistici.

Isengard e Saruman rappresentano la minaccia, reale più che mai, che Tolkien teme di più: la scomparsa di un’Era, di un mondo, luminosi seppur in declino, di incorrotti valori e preziose testimonianze del passato, il tramonto perenne della virtus militare e dell’onore, della pace e della libertà dei popoli della Terra di Mezzo, un Medioevo romantico "bombardato" da un Male che assume le fattezze dell'esercito brutale degli Uruk-hai, gli abominevoli orchi di Saruman, creati solo con l’intento di distruggere l’uomo e dominare il mondo, e che riveste i contorni di una guerra senza quartiere, combattuta con ogni mezzo e in qualsiasi condizione, al costo di innumerevoli perdite. Guerra che viene combattuta da Saruman con il chiaro e preciso scopo di sterminare definitivamente la razza degli Uomini, che rappresentano un vero ostacolo, con il loro sistema di virtù quotidiane, valori (neo)cavallereschi e ideali cortesi, all'oscuro mondo del freddo ingegno, della macchina, della razionalità e tetra praticità di Isengard; un disegno da realizzarsi sfruttando ogni mezzo che lo Stregone di Orthanc ha a sua disposizione: la corruzione di re Theoden tramite l'asservito Vermilinguo, la tecnologia militare, gli strumenti dell’inganno e dello spionaggio, della “Macchina” che distrugge foreste per alimentare le fucine dell’industria bellica, l'uso di stregonerie e sortilegi – in tutto e per tutto un contraltare di Gandalf, il Grigio Pellegrino, un eroe puro, restio a far uso del suo “potere” se non in casi di estremo bisogno, non interessato al dominio personale ma al bene e alla libertà delle genti della Terra di Mezzo, e unico, fra gli Istari, a mettere sé stesso, le sue capacità, fino in fondo, al servizio della missione per il quale viene inviato contro Sauron, senza soccombere alle tentazioni della materia7.


Costruita dai Numenoreani in epoche remote, la torre di Orthanc è il centro indistruttibile di Isengard, difesa da un cerchio di pietre grigie, ai piedi dei Monti Nebbiosi, una città-fortezza sede di potere, antichi segreti e saperi arcani (come i palantÍri, le antiche pietre veggenti, che possono essere usate nel pieno della loro capacità e senza rischi, soltanto dai legittimi sovrani di Arnor e Gondor).

Qui Saruman vi si stabilisce nei primi anni della Terza Era e, nel tempo, seppur inizialmente mosso da sinceri sentimenti di contrasto al Male, comincia a covare disegni di conquista su tutta la Terra di Mezzo, progettando di impossessarsi dell'Unico Anello per poter sconfiggere Sauron e sottomettere tutte le genti al suo controllo. La sua natura doppiogiochista e malvagia è ben resa dalla descrizione delle sue vesti nel Capitolo II de Il Signore degli Anelli, non bianche, come dovrebbero essere quelle del Capo degli Istari, l'Ordine degli Stregoni supremi inviati da Valinor (bianco sinonimo di candore, nobiltà, purezza, rispetto dell'alta missione), ma dalle varie tinte, un manto multicolore:


«Era un vecchio avviluppato in un manto dal colore difficilmente discernibile, poiché mutava ogni volta che si spostavano gli occhi o ch'egli si muoveva. Aveva un viso lungo, dalla fronte alta, ove due occhi profondi, ch'era impossibile scandagliare, parevano ora gravi e benevoli, e un po' stanchi. Capelli e barba erano bianchi, ma intorno alle labbra ed alle orecchie si scorgeva ancora qualche ciocca nera.»8.


Il cambio di colore della veste di Saruman simbolico, sta ad indicare la sua progressiva corruzione, il suo voler volgere le proprie capacità al servizio di intenti personalistici e malvagi, dell'ingegno e della tecnica, mentre un altro tratto identificativo è quello della dialettica linguistica e della potenza della sua voce, ammaliante, melliflua e stregata, in grado di ingannare anche le menti più lucide che vi prestano ascolto, attraverso la quale è in grado di influenzare la volontà di essere inferiori a lui in potenza e volontà – ma che è anche un riferimento alla potenza creativa del linguaggio, fondamentale nella poetica, mitopoiesi (la capacità di creare miti) di Tolkien.

Con i suoi poteri Saruman imprime la sua influenza su vasti territori della Terra di Mezzo, dalla Breccia di Rohan a Dunland, dalle Montagne Nebbiose al Passo del Caradhras, la sua "voce" è presente ovunque (similmente all'Occhio di Sauron); con questi mortiferi strumenti sfrutta e attizza gli istinti “bassi” e violenti dei selvaggi Dunlandiani, promettendogli le ricche terre di Edoras in cambio del loro servizio militare, utilizza i propri saperi arcani e le conoscenze apprese (la lingua degli uccelli da Radagast e la conoscenza di Fangorn da Barbalbero) per creare una rete di spionaggio molto efficiente tramite i Crebain (sorta di corvi giganti), che insieme alla sua conoscenza del mondo, al palantír e ai suoi poteri vocali, ne fanno una sorta di Grande Fratello Orwelliano, in grado di giungere ovunque e di imprimervi il suo controllo, se non ostacolato da un potere pari o superiore (Gandalf).

Saruman dunque come un dittatore del XX secolo, la cui politica assume i tratti comuni delle ideologie totalitarie del Novecento (le strategie di controllo delle masse, la propaganda violenta e interventista, la politica di guerra, la concentrazione del potere nelle mani di un unico sovrano/capo di stato, il controllo diretto dell'economia, della produzione e della società, la creazione di un comune nemico pubblico), quali il nazismo hitleriano, il comunismo sovietico di Stalin, ma, più generalmente, della politica al servizio del potere personale, che si nutre di falsi slogan, di inganni e bugie, per spingere all'arruolamento giovani e civili, fin dentro le Università, come accade a Tolkien ed ai suoi amici, vittime delle menzogne e lusinghe della politica inglese del '14 – '18.

Come i totalitarismi del secolo scorso anche il nuovo imperium di Saruman è caratterizzata da un largo uso del simbolo: la mano bianca dello Stregone, che adorna gli elmi e gli scudi degli Uruk-hai, attinge alla simbologia nazionalista degli stati totalitari del Novecento, come la svastica tedesca, le croci uncinate ungheresi, la falce e martello russi, il fascio littorio mussoliniano, e ne ricopre le stesse funzioni identitarie e propagandistiche.

E sono proprio l'ambizione sconfinata, la brama di dominare il creato, a spingere Saruman nella caduta definitiva: con l'orrida creazione degli Uruk-hai, che costituiscono il nerbo del suo esercito, egli perde definitivamente il suo status gerarchico all'interno del Bianco Consiglio, stravolgendo qualsiasi principio etico e morale.

I suoi orchi sono infatti una “abominazione dell'abominazione”, prodotto di un incrocio fra razze diverse (probabilmente Orchi e Uomini) e magia nera, più forti, veloci e resistenti dei già fortificati Uruk neri di Sauron e dei comuni orchi, in grado di marciare e combattere anche sotto la luce del Sole – originariamente gli orchi erano infatti stati generati da Morgoth, torturando e deturpando i primi elfi del Beleriand.

Come afferma Ugluk, comandante della spedizione di Uruk-hai incaricata di portare a Iserngard Merry e Pipino:


«Siamo noi gli Uruk-hai lottatori! Siamo stati noi ad uccidere il grande guerriero, noi a prendere i prigionieri. Noi siamo i servitori di Saruman il Saggio, la Bianca Mano: la Mano che ci dà carne umana da mangiare. Siamo venuti da Isengard e vi abbiamo guidati sin qui, e saremo noi a scegliere la via del ritorno che più ci piace. Io sono Uglúk. Ho parlato»9.


Gli Uruk-hai, un esercito enorme, mostruoso, creato con il solo intento di distruggere, non importa al costo di quante vite, che Saruman invia contro il nemico più prossimo e che lo minaccia più da vicino, Rohan, radunata, diversamente da Isengard, tutta intorno al suo valoroso re Theoden, sovrano neomedievale, cavalleresco, giusto e guida del suo popolo, nella difesa disperata di un mondo che rischia di scomparire, quello degli uomini liberi.

La Battaglia del Fosso di Helm, la fortezza nella quale si rifugiano gli abitanti e i cavalieri di Rohan insieme al loro sovrano, diviene dunque metafora della guerra moderna, meccanizzata, fatta di eserciti immensi, equipaggiati con armi mortali, costituiti con il solo fine di distruggere e conquistare, qualsiasi sia il costo in vite umane da sacrificare, rappresentata da Isengard, e della decadenza conseguente della cavalleria, della gloria e dell'onore in battaglia, dei valori cavallereschi incarnati da Theoden e dai suoi Rohirrim, valori di un epico passato, che ha le forme di un Medioevo fantastico e idealizzato, che nulla possono contro le mortali tecnologie militari.

Una guerra impari, dei patrioti contro gli schiavi, dei pochi contro molti, del valore contro il progresso armato, dell'ordine naturale contro l'ordine artificiale, che rimanda all'inevitabile mutamento storico della guerra armata a partire dal XV secolo, con l'invenzione e la messa in atto delle prime armi da fuoco, che rendevano i guerrieri dell'antichità dei soldati da sacrificare al patibolo.

Così si esprime Theoden, durante l'assedio al Trombattorione:

«Si narra che mai il Trombatorrione ha ceduto a un assalto», disse Théoden; «ma ora nel mio cuore cova un dubbio. Il mondo cambia, e tutto ciò che un tempo era forte ora si rivela insicuro. Come potrà mai una torre resistere a una tale valanga e a un odio così implacabile?»10.

Massacro, violenza, odio, interessi economici e, soprattutto, la paura, minano il valore, il coraggio, la lealtà militare: è la fine del Medioevo cavalleresco ed eroico.

Se fino all'Ottocento, nonostante l'utilizzo sempre più massiccio di armi da fuoco, la cavallerie occidentale riveste una certa importanza (si pensi alla carica degli Ussari Alati del 12 settembre 1683, condotta vittoriosamente contro i turchi che assediavano Vienna o alla Battaglia di Eylan, del 14 aprile 1807, che segna la grande vittoria del reparto Granatieri a cavallo, detto dei “Giganti”, dell'armata napoleonica contro i Russi) la prima Guerra Mondiale segna il tramonto della cavalleria, intesa sia come insieme di valori che come comparto militare. Le trincee, il filo spinato, l'uso di potenti mitragliatrici, l'avvento del carro armato e dell'aereoplano, renderanno vane, eccetto pochi e rari casi, le cariche della cavalleria, corpo armato che, ancora nei primi decenni del Novecento, godeva di prestigio e fama in tutta Europa (come non citare, in questo contesto, i massacri subiti dalla cavalleria inglese, imbevuta di codici cavallereschi e di ideali romantici, figli del medievalismo vittoriano, i cui reparti andarono in contro alla rovina armati di lancia, spada, elmetto, nelle battaglie di Compèigne e di Ypres, nel 1914).

I Rohirrim, allo stesso modo, rappresentano la cavalleria nel suo duplice ruolo di forza armata e custode di tradizioni, antichi valori, nobili ideali , lealtà al sovrano e alla patria, onore, da rinnovare anche in campo di battaglia; pure, Theoden e Rohan escono vincitori dalla battaglia, grazie alla coraggiosa carica di Theoden e all'arrivo provvidenziale di Gandalf: la speranza non abbandona mai gli uomini della Terra di Mezzo, e la vittoria è dovuta allo spirito dei grandi che non è ancora andato perduto, ma i gloriosi giorni della cavalleria, dell'epica, del corno di Helm Mandimartello, sono destinati al declino e, infine, a scomparire.

Il Medioevo cavalleresco e cortese è destinato a lasciare il passo alla modernità e alla macchina, a subire i colpi delle armi chimiche e della bomba atomica.

Se da un lato vi è la guerra contro l'uomo dall'altro vi è la guerra contro la natura: con la distruzione progressiva di Fangorn Saruman tende a cancellare la Vita stessa, con le sue forme e colori, con il suo enorme patrimonio di sapere e ricchezza interiore: la foresta di Fangorn è infatti viva, un essere vivente che si manifesta tale in tutti i suoi componenti, e del quale gli Ent sono una emanazione, una difesa contro i mali dell'uomo e del tempo (e una difesa estrema contro le deturpazioni di Saruman): non solo i “pastori degli alberi” e Barbalbero, ma ogni cosa all'interno della foresta pulsa vitalità, al suo stato più puro, elementare e, quindi, “potente”.

La foresta prova rabbia per quello che gli è stato fatto dagli orchi, una rabbia che Legolas, Aragorn e Gimli, percepiscono quando giungono al suo interno, e l'acqua dell'Entalluvio, il fiume che vi scorre all'interno, ha proprietà curative, ristorative e “magiche”: bevendola Merry e Pipino “crescono” di diversi centimetri, diventando gli hobbit più alti della storia conosciuta della Contea. Un attacco, quello di Saruman, che mina le fondamenta della terra e che, per la sua spregiudicatezza, è causa della rivolta della Natura stessa, impersonata da Barbalbero e dagli Ent che si lanciano all'assedio di Isengard.

Tutti gli alberi, inoltre, sono come animati da una volontà propria (gli Ucorni), posseggono una voce distintiva e possono avanzare lentamente, soprattutto su comando degli Ent, sono tuttavia spesso dominati da sentimenti di odio e rancore nei confronti di tutto ciò che si muove liberamente (come il Vecchio Uomo Salice) a causa del cattivo operato dell'uomo che “spezza, taglia, uccide”.

Le parole del Vecchio Pastore di Alberi, durante la marcia verso Isengard, suonano come un grave ammonimento lanciato ad un'umanità crudele e insensata, che, tanto in guerra quanto in pace, distrugge alberi e vegetazione spesso senza scopo, solo per il gusto di farlo o procacciarsi spazio, o ancora per logiche insensate (si pensi alle politiche del cemento, alla crisi recente della Foresta Amazzonica o al disboscamento illegale che sta depauperando l'Indonesia del suo tesoro verde).


«E’ tutto quell’abbattere e distruggere inutilmente ràrum degli Orchi, senza nemmeno il losco pretesto di alimentare i fuochi, che ci manda su tutte le furie; e il tradimento di un vicino che ci avrebbe dovuto aiutare. Gli Stregoni dovrebbero sapersi comportare meglio: sanno comportarsi meglio. Non vi è maledizione in Elfico, in Entese, nelle lingue degli Uomini, abbastanza terribile per un simile traditore. A morte Saruman!».


L'industrializzazione forzata, il disboscamento prepotente atto ad alimentare le fornaci della fortezza, lo sfruttamento degli orchi operai, divengono la rappresentazione (e insieme la critica) dei grandi sistemi economico-sociali della Seconda Guerra Mondiale e post-conflitto, dell'industria da guerra della Germania nazista, del comunismo di guerra e della Russia dei Piani Quinquennali, del capitalismo e degli USA del New Deal.

Tali tematiche sono state rilette dal cinema, con l’uscita nel 2001 della fortunata trilogia de Il Signore degli Anelli (2001; 2002; 2003), del regista neozelandese Peter Jackson, cui si deve il successo e l’apogeo del Medioevo fantastico nel XXI secolo.

La trilogia era ispirata ai temi dell’opera originaria (in particolare: il mito del re che ritorna, il viaggio del protagonista per la salvezza dell’umanità, la critica al mondo delle macchine e alla materia) che, applicando i dovuti adattamenti e libertà, fedeli allo spirito originario, trasmetteva al grande pubblico.

Ma presentava anche temi dalla forte attualità e novità, come ad esempio la presenza dell’antieroe (ad esempio gli “imperfetti” hobbit o il tema della corruzione di grandi uomini come Boromir), e, in particolare, la contestazione della guerra, dei totalitarismi e dei fondamentalismi ideologici/religiosi rappresentati dalle forze del Male, Sauron, Saruman, gli Uruk-hai, in linea con lo spirito originario, come annullamento dell’ordine naturale, dei valori e delle singole individualità, caratteristiche presenti specialmente nella pellicola de Le Due Torri.

L'uscita nelle sale del film ricordò, a partire dal titolo emblematico, a molti critici - specie quelli legati a determinati ambienti e posizioni politiche - un intrinseco legame con gli attentati dell'11 settembre del 2001 e furono molti i nomi autorevoli che si spinsero a paragonare Saruman, interpretato da Cristopher Lee, ad Osama Bin Laden: un leader cinico, furbo, spietato, nemico numero uno dei popoli liberi, che sfrutta soldati kamikaze per vincere i suoi conflitti ideologici - ma è un paragone, in realtà, estendibile a tutte le forme di dittatura dei nostri tempi, da quelle "silenziose" del mondo occidentale a quelle dell'ISIS, dai governi autoritari e militarizzati del Sud America a quelli dell'Africa centro-settentrionale.



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BIBLIOGRAFIA.


1. SOCIETÀ TOLKENIANA ITALIANA, J. R. R. Tolkien: la vita, 2020, https://www.tolkien.it/j-r-r-tolkien/la-vita/.

2. Su questo tema: ho già indagato il rapporto fra Morris e Tolkien in un precedente articolo: N. MAGGIO, Da William Morris alla Terra di Mezzo: il Gothic Revival vittoriano e la nostalgia romantica per il passato, II parte, in “Gli Annali della Terra di Mezzo”, 25 marzo 2021, link all'articolo: https://annalidellaterradimezzo.blogspot.com/2021/03/da-william-morris-alla-terra-di-mezzo.html. ; Id., Da William Morris alla Terra di Mezzo: il Gothic Revival vittoriano e la nostalgia romantica per il Medioevo, I parte, in “Gli Annali della Terra di mezzo”, link: https://annalidellaterradimezzo.blogspot.com/2021/01/da-william-morris-alla-terra-di-mezzo.html.

3. Un aspetto questo che è stato ripreso dalla recente pellicola di Karukoski, Tolkien, del 2019, nella quale compare un giovante aiutante di un Tolkien sottotenente in guerra, di nome Sam, che aiuta e sostiene il nostro, già in preda ai malesseri della febbre da trincea.

4. J. R. R. Tolkien, Lettere (1914-1973), Bompiani, Milano, 2006, lettera 29, 25 luglio 1938 a Stanley Unwin.

5. Non deve dunque stupire il forte interessamento della casa editrice “Rütten & Loening” a pubblicare Lo Hobbit in Germania, conscia del suo possibile successo presso il pubblico, poco tempo dopo la sua pubblicazione in Inghilterra (settembre del 1937).

6. J. R. R. TOLKIEN, Lettera n. 45 del 1941, La Realtà in trasparenza, Bompiani, Milano, 2001, pag. 65.

7. Fondamentali, all'interno del Signore degli Anelli, il ruolo e la funzione di Gandalf, sorta di Deus ex Machina che muove gli eventi agendo spesso con modalità poco convenzionali, da dietro le quinte, ad esempio spronando o sostenendo i protagonisti Bilbo e Frodo nella loro avventura/cerca/missione, o arrivando nel momento del bisogno più disperato, una battaglia o un aiuto insperato (non a caso la sua vera capacità – e non potere, termine che in Tolkien ha un'accezione negativa - è quella di animare e infondere speranza nei cuori delle genti libere che sostiene). Alla sua figura dedicherò più avanti uno spazio a sé, poiché numerose sono le fonti di ispirazione per Tolkien, usate per la creazione ed elaborazione del Grigio Pellegrino (si pensi all'idea del Cristianesimo “militante”, o all'iconografia e rappresentazione letteraria di Odino il viandante, o ancora a quella degli Stregoni saggi e viaggiatori, come Merlino o Väinämöisen della mitologia finlandese).

8. J. R. R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano, 2005, p. 866.

9. J. R. R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli – Le due torri, cit., p. 1430.

10. J. R. R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli – Le due torri, cit., pp. 1714-1715.   

11. S. QUARTARONE, Il Signore degli Anelli, Tesi, Roma, 2017.



Nicolò Maggio



ILLUSTRAZIONI.


1.


Gli Ent attaccano Isengard. Illustrazione di Ted Nasmith. Fonte: https://lotr.fandom.com/it/wiki/Attacco_degli_Ent_a_Isengard?file=Ent_attaccano_Isengrd%252C_by_Ted_Nasmith.jpg.  


2.

 

        Le schiere di Uruk-hai di fronte la Torre di Orthanc. Dal film Il Signore degli Anelli - Le due Torri          (2002)


3.




Illustrazione di Orthanc. Fonte: https://static.wikia.nocookie.net/tolkien/images/9/93/TN-Orthanc_in_the_Second_Age.jpg/revision/latest?cb=20180817104759&path-prefix=it


4.




Saruman e il suo esercito. Fonte: Google Immagini, Saruman.





Commenti

  1. Entusiasmante! Estasiato sono giunto sino alla fine per scoprire amaramente che qui, tanto si conosce del mondo di Tolkien, quanto meno si capisce del presente. Non si può fare propria la narrativa governativa americana e dei media corrotti, sarebbe come vanificare il sacrificio dei combattenti e delle vittime che hanno resistito e subito le cosiddette rivoluzioni colorate tanto care agli Stati Uniti d'America e ai sionisti. Si approfondisca e si rifletta su Siria e Ucraina per cominciare. E se si vuole un suggerimento si utilizzi la casella di ricerca nel blog di Maurizio Blondét.

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    1. Caro Andrea. Ti ringrazio ma, nel contempo, intuendo la tua intelligenza e preparazione su questi temi, ti consiglio di non giungere a conclusioni affrettate (in questo come, per il futuro, in altri casi).
      Non sono, infatti, e parlo a nome mio, autore dell'articolo, un pro-Nato né ho mai sostenuto a spada tratta l'operato degli USA (un paese che è in guerra da quando è sorto).
      La prospettiva della conclusione vuole essere quella della propaganda, semmai, hollywoodiana e di una larga fetta della critica cinematografica.
      Poi, di dittatori silenziosi, ne è pieno l'occidente come il Medio Oriente, forse anche in misura maggiore: penso al massacro di JonesTown, causato dal pastore estremista John Jones, o alla bieca politica di Obama in Siria.
      Ma il punto dell'articolo non era, ne lo è, quello di sollevare polemiche Atlantiste o Sovietiche, bensì, con la conclusione, rendere pubblica una chiave di lettura che è, nei fatti, stata fatta del film, senza prendere necessariamente la parte di uno schieramento o dell'altro: i totalitarismi sono sempre.da.criticare, da qualsiasi parte provengono.
      Un po' quello che ha voluto fare, a mio avviso, Jackson. Risponde Barbalbero, alle domande di Mereu e Pipino, in riferimento a quale schieramento avesse scelto: "Parte? Dalla parte di nessuno perché nessuno è dalla mia parte".

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